sabato 20 giugno 2020














La mappa è il mio territorio

Io vedo la realtà come un insieme di relazioni paragonabili ad una mappa geografica, la mia realtà percettiva assomiglia ad una sorta di Google Maps nelle sue versioni bidimensionale e tridimensionale. La mia necessità di strutturare la realtà di codesta maniera sorge da più di una esigenza. Da una parte quella mnemonica, per cui la mia mente fatica a ricordare parole e concetti in maniera astratta, e dall’altra la costruzione di una carta geografica (un riferimento visivo), quindi la possibilità di visualizzare delle immagini, mi consente in maniera quasi fisica, di accedere alle informazioni che mi interessano. Il processo mentale che si compie è proprio quello di farsi un percorso “stradale”, passatemi il termine, attraverso il quale vado a pescare di volta in volta, cose, oggetti, che si definiscono con le parole.
Ma la mappa, come si diceva non è solo bidimensionale, perché posso andare a ricostruire fisicamente dove si trovano gli oggetti che mi interessa ricordare, e allora io vedrò dentro la mia testa le scale che portano in cantina e la libreria nella stanza sulla destra, dove ci sono i libri che mi interessano, e li vedrò proprio uno ad uno, perfino nell’ordine in cui sono veramente collocati sugli scaffali e financo certi oggetti che gli stanno accanto.
E le mie peregrinazioni, con la pratica, diverranno di volta in volta più efficaci, se mi abituerò ad utilizzare questo schema ogni qual volta ne avrò bisogno.
Ma la teoria delle mappe è molto di più. O lo può divenire, se ne faccio l’uso corretto.
Non esiste solamente la mappa dei luoghi, e di conseguenza degli oggetti, che nei luoghi sono conservati, bensì esistono una serie infinita di mappe che posso visualizzare, fino alla mappa delle mappe. Dovete immaginare una stratificazione di mappe, layers, ognuna delle quali rappresenta un insieme, che possono essere, cose, parole, tragitti, persone etc.
Tutte, però, sono legate dal fatto di essere collocate su di un territorio e che su questo territorio è possibile muoversi avanti e indietro. Posso costruire mappe all’infinito semplicemente decidendo di collocarvi al loro interno oggetti che abbiano un qualche tipo di relazione logica. La famiglia, ad esempio, ha una relazione logica con i parenti, che a loro volta hanno una relazione con gli avi e con i luoghi dove questi avi hanno vissuto, così che andrò ad intrecciare un layer pieno di persone, ad uno geografico che rappresenta i luoghi dell’infanzia, del presente e di un remoto passato.,
Meglio cercare di mantenere le mappe le più semplici possibile, in modo da non creare confusione, evitare che pecchino di coerenza al loro interno. Parenti con parenti e amici con amici per esempio. Una volta consolidate le mappe allora potremo iniziare a sovrapporle tra loro.
Ma torniamo all’essenza della mappa, al suo cuore. La mappa mi consente, da una parte, di attingere alle informazioni che mi interessano, se ben costruita, ma dall’altra parte mi consente di stabilire degli ambiti, che chiamerò percettivi, attraverso i quali posso inquadrare la realtà secondo schemi diversi da quelli a cui sono abituato. Posso stabilire delle mappe mentali che definiscano, ad esempio, il “dentro” e il “fuori”, intendendo queste condizioni nel loro più ampio significato. Il dentro fisico di un’abitazione e il fuori di essa, oppure il dentro di una stanza e il fuori inteso come il restante spazio dell’abitazione (sempre interno), o ancora il dentro la nostra mente e il fuori dalla mente e via discorrendo. Questi sono concetti semplici ma la loro schematizzazione consente di individuarli come categorie separate, così che possano essere valutati, anche separatamente, in relazione ad altri insiemi, per esempio quello degli eventi chimico-fisici che possono intervenire a modificarne la condizione.
Se è vero che mi trovo in una stanza, all’interno della stanza, ma cosa sta accadendo fuori che potrebbe modificare il mio stato e le mie percezioni? Costruiamoci allora una mappa degli eventi fisici che potrebbero modificare la condizione di quel luogo … la luce esterna perché ci sono delle finestre, il traffico perché il rumore oltrepassa i muri e via discorrendo.
Capirete bene che la costruzione di un modello si fatto possa dare enormi vantaggi al lavoro di uno scrittore, sceneggiatore, regista etc. Abbiamo il modo di strutturare il nostro canovaccio, la storia che vogliamo raccontare, in una maniera molto più solida e strutturata, con una serie di punti fermi che, se siamo bravi, possiamo di volta in volta intersecare con altri, metterli in relazione tra loro e scoprire sempre nuove interazioni.
Una volta acquisito lo schema posso davvero utilizzarlo in qualsiasi contesto. Per esempio voglio indagare la mappa dei momenti più critici nella crescita di un personaggio. Un limite, se così possiamo chiamarlo, è la necessità, una volta definito l’ambito d’azione, di porsi in una prospettiva a volo d’uccello. La visione della mappa stabilisce che ci dobbiamo elevare dal contesto (forse questa condizione ci allontana dall’azione in un primo momento, ma niente ci impedisce, dopo, di piombare a terra e sporcarci con la vita reale) e stabilire i contorni della mappa (che saranno provvisori, più tardi potremo allargali e modificarli man mano che si aggiungono informazioni o se ne abbiamo la necessità) sulla quale appoggiare il/i personaggi. Se ad esempio definiamo che il nostro eroe salirà sul treno nella stazione A per arrivare alla stazione B, il nostro gioco inizierà con la creazione della linea ferroviaria e delle due stazioni. Poniamo il personaggio nel treno e lo facciamo partire. Ecco che diamo una collocazione geografica e temporale, siamo ad esempio a Castiglioncello il 26 novembre del 1977 e M. frequenta il liceo a L. Di colpo il ns personaggio si riempie di connotazioni reali perché pensate subito, è mattina presto, sono le 7.05 e lui ha certamente sonno e forse anche freddo. Porta i pantaloni di lana che sua madre ha comprato nel tal negozio e per risparmiare (la mamma è una signora parsimoniosa) la qualità lascia a desiderare e così gli provocano una continua irritazione alle gambe che lo costringe a grattarsi e per conseguenza, la sua cerchia di amici lo prende in giro ma M. fatica a difendersi (M. è un ragazzo timido che si fa influenzare dai giudizi degli altri).
Insomma, abbiamo stabilito una mappa. Perché sappiamo esattamente dove si trovi M. e dove stia andando, quale sia il suo tragitto e di conseguenza le relazioni che può sperimentare lungo quel tragitto etc. Ma noi possiamo andare più in là e costruirci già una mappa delle possibili deviazioni. Quali sono i luoghi della trasgressione, per trasgressione intendo le deviazioni da un percorso stabilito, che possono avere una natura semplicemente geografica ma anche di condotta, di atteggiamento morale. Potrei andare avanti, ma credo abbiate capito.
La mappa è un sistema che da una parte consente di mantenere sotto controllo la complessità del contesto/storia/relazioni e dall’altra ci consente di aggiungere, sperimentare, individuare percorsi alternativi allo svolgersi degli eventi o cambiarli del tutto.
Tutto il sistema appare come una costruzione meramente virtuale, ma in realtà il suo motore vero sta nella natura fisica delle cose e nelle azioni che ne conseguono. Senza le strade, senza le case, senza i pantaloni, senza la carne e i peli che reagiscono al freddo e le labbra che si seccano e la gola che ti brucia e gli alberi su cui si schiantano le nostre auto e i cieli che guardiamo alzando la testa, senza tutto questo non ci sarebbe niente. Nemmeno i libri.
Poniamo che vogliate scrivere una storia, un racconto o un libro, o un film, qualsiasi cosa abbiate in mente. Vi trovate in un luogo, un luogo qualsiasi, ma per facilità diciamo che siete seduti nel dehors di un caffè di una cittadina sulla scogliera italiana, perché la conoscete bene, ed è sempre meglio partire da qualcosa che si conosca.
La gente intorno sorseggia un caffè o una bibita, qualcuno passa in bicicletta, alcune auto, poche, transitano in lontananza perché vi trovate in un’area pedonale.
Adesso dovete elevarvi, al di sopra di tutto ed iniziare la costruzione delle mappe.
Partiamo da quella geografica, il bar, le case, quasi tutte degli anni ‘50, un po' scrostate, segno di scarsa manutenzione e quindi una economia locale poco florida (perché? Più avanti nella storia cercheremo di capirlo).
Il vostro eroe dove abita? Lì vicino? Una casa in cima al paese, accanto alla chiesa. Quali relazioni intrattiene? Ci sono parenti o amici? No, è solo. Allora vediamo quali ambienti frequenta; il bar dove fa colazione, un ristorantino sulla spiaggia, il minimarket all’ingresso del paese, etc. Strutturiamo tutto dentro una mappa e verifichiamo le distanze, i percorsi, le alternative. Chi potrebbe incontrare lungo quei percorsi? Chi incontra di solito? La cassiera del minimarket è carina? Lei gli fa il filo?
Con cadenza settimanale l’eroe si reca all’ufficio postale e riceve un pacco. Da dove lo riceve? Dove si trova la sua famiglia?
Di solito la costruzione del personaggio credo venga fatta a monte, ci si chiede come sia fisicamente e caratterialmente e via discorrendo. Con questo metodo partiamo dalle sue azioni, dai luoghi che frequenta e il modo in cui si muove. Non sappiamo niente del personaggio, lo costruiamo passo passo facendoci aiutare dal contesto, in base a come il ns personaggio reagisce al contesto in cui l’abbiamo collocato e alle relazioni che i suoi movimenti stabiliscono.
In pratica si va avanti ed indietro in continuazione, tra il contesto e il personaggio. Scegliamo il colore degli occhi ed il modo in cui vede il mare, perché abbiamo stabilito che lì ci sia il mare e siccome c’è il mare possiamo anche decidere che lui lo odi il mare, ma perché? Perché sappiamo che ha gli occhi verdi ma è anche daltonico e quindi è vagamente triste per il fatto che per lui il mare sia sempre di colore grigio, anche in una splendida giornata di sole.
Un elemento cruciale nell’utilizzo della tecnica delle mappe è la scelta del momento, o meglio dell’occasione. Da lì discende tutto, o quasi. Esistono “n” momenti da cui dare avvio al processo e “n” luoghi da cui iniziare il processo, perché alla fine è di una mappa di cui stiamo parlando e il modo in cui la si utilizza e poi si percorre il territorio, sono un fattore fondamentale per la buona riuscita del processo.
Sono a casa, sono fuori, mi sento bene, mi sento male, ho la febbre, mi ha lasciato la ragazza oppure è morta mia madre (Albert Camus), sono tutti starting point possibili che hanno a che fare con un luogo e con uno stato d’animo.
Il luogo può benissimo essere casuale. Non c’è nessun bisogno che faccia una scelta ponderata, posso benissimo lasciare che sia il caso a determinare il punto d’inizio. Anzi, anche per questa circostanza potremmo utilizzare una mappa. La mappa delle circostanze o la mappa dei luoghi. Ma “luoghi” è troppo generico. Sarà mia premura costruire delle mappe ad hoc per luoghi specifici. I luoghi dell’infanzia, i luoghi del cuore, i luoghi del lavoro, i luoghi delle vacanze, i luoghi del sesso, i luoghi della perdizione, i luoghi della droga, i luoghi della paura, i luoghi dell’ozio e chi più ne ha più ne metta.
Il mio approccio con le storie è prevalentemente quella della casualità. Mi piace iniziare in qualsivoglia punto e qualsivoglia momento, proprio perché è lì che si esprime al suo massimo la forza propulsiva delle mappe. E’ dal caso che può scaturire la successione di eventi più inaspettata e sorprendente, quando invece una scelta ponderata dell’occasione di avvio potrebbe condizionare lo svolgersi del racconto, dare priorità ad alcune situazioni già previste dentro i nostri schemi preordinati, che renderebbero più prevedibile la concatenazione degli eventi.
Ancora una volta lasciatevi andare all’imprevedibilità del meccanismo, non abbiate paura di sperimentare e introdurre variabili nuove al vs impianto, potrete sempre tornate indietro, anche se non sapete cosa vi riservi l’ultima scelta che avete fatto finché non sarà arrivata a conclusione. Lasciatevi trasportare dagli eventi anche se in un primo momento sembra che non portino a niente, perché dietro ogni angolo può nascondersi una sorpresa. Questo è il lato più eccitante della metodologia.
Stiamo parlando di finzione per cui possiamo permetterci di assumere quello che stiamo descrivendo come “vero”. Niente è più vero di quello che diciamo, in quanto lo stiamo dicendo. A livello di linguaggio ciò che diciamo è vero in quanto tale, anche se dico “voglio uccidere mia madre” e poi non lo faccio. Quello che ho detto è comunque vero all’interno del layer di riferimento, il layer della semantica. Un altro layer, quello della realtà fattuale, troverà la frase completamente falsa, ma non perché non sia vera, ma perché non è congrua, fa riferimento ad un codice diverso. Possiamo dire che la mappa della “realtà” non esista.
La realtà si esplica secondo schemi diversi, anzi non esistono schemi capaci di riprodurla, essa è tale solo in quanto non è riproducibile altrimenti, se non attraverso sé stessa. Tutto il resto, a partire dalle parole, sta sopra di essa: è sovrastruttura.

giovedì 18 giugno 2020

Another cup of coffee















La domanda mi sorge spontanea.
Sbaglio o le notizie che leggiamo in rete hanno sempre un enfasi maggiore rispetto alla loro reale importanza, al reale peso specifico del loro contenuto. E' come se la loro lettura, perché pur sempre di lettura si parla (non è che ti stiano dando uno schiaffo o ti stiano urlando nell'orecchio), fosse amplificata o ingigantita dal mezzo che te la propone. Eppure sei come tuo solito seduto comodamente in poltrona, magari sorseggi un buon tè o un espresso appena uscito da una vecchia e consunta moka, ma bum ... la notizia assume un incedere inaspettato, un'urgenza, una drammaticità degna di Dario Argento o Alfred Hitchcock, a seconda dei gusti.
Insomma verrebbe davvero da pensare che il mezzo sia il messaggio e ovviamente un pò lo è. Ma solo in parte. Io credo che ancor più sia la distanza che si è andata riducendo tra la fonte dell'informazione e il suo fruitore, noialtri. I due soggetti sono divenuti prossimi, non ci sono più quei filtri a cui ci eravamo abituati, diciamo dagli anni '50 in poi, che ci consentivano di prenderci il tempo per versarci un altro pò di tè prima di saltare a conclusioni affrettate.