martedì 20 dicembre 2016

















La soglia


La prima volta che varchi la soglia
E’ un Nirvana che subdolo ti invoglia

Un insieme di punti di vari colori
Ed è l’assoluto che in te si risveglia

Dimmi il dharma che avresti voluto
Oppure il chakra che ti sarebbe piaciuto

Ma quella porta non si vuole aprire
E tu rimani sospeso in un mondo irreale
Che peraltro assomiglia al tuo luogo natale
Ma che non sembra per niente uguale

E così di un consiglio avresti bisogno
Della luce e di una mano che ti indichi il cammino
Ma di nessuno a cui stare vicino

Ripercorri a ritroso la marcia incantata
A nuoto nel fiume giallo, a cavallo nella terra dimenticata

Il perché della vita non è cosa data
È un bisogno ancestrale, un attitudine ereditata

Ma poi tutti i giorni ti risvolti nel fango
Cosa ben più concreta di una preghiera imparata

Mi dice vieni sulla montagna
Tu sei un vagabondo, un vagabondo del dharma

Ci passi le notti e i giorni in silenzio
Non mangi non bevi e ti inchini sotto il cielo stellato
Aspetti qualcosa che squarci la luce, un pensiero costante, l’elemento vibrante
Un sobbalzo da dentro, una sorpresa eccitante, qualcosa mai visto, nemmeno guardato

Io penso è tutto sbagliato, è un pretesto questo assurdo girare
Perché dare retta a un divino creatore, cosa ne sa lui più di un dottore
Di come curare e di come sedare e quando dirti se sia il caso sperare

Così dammi un segno che mi faccia auspicare che è meglio aspettare o meglio abdicare dal trovare la via, il cammino segnato, anche nel buio di un destino sbagliato

Oggi ho trovato il mio dharma, i miei dei sapienti mi hanno graziato, un ordine cosmico nel quale ho già navigato

Sacerdoti bardati di rituali codificati, le bocche cucite in assordanti significati

Così in attesa di un intervento divino mi mischio al grezzo e sporco destino e in sanscrito yddish copto e aramaico latino rinuncio all’oriente e al suo mirabile cammino.

Grazie

lunedì 5 dicembre 2016





















Le piante erano allineate

Tu non sai dove sono in questo momento, quanto le mie parole siano chiare sul foglio bianco.
Non so più dove mettere tutte quelle cose che non servono più a niente.
Non c’è spazio per contenere tutto.
Dovrei aprire la finestra e far entrare l’aria.
Il terrazzo lì fuori sospeso sulle cose
La casa di fronte bagnata dalla pioggia.
Le piante allineate e le bottiglie vuote.
La luce che si spenge. La porta che si apre. Il cuore che non tace
Così mi immagino seduto in cucina. Legato alla sedia e tu in piedi lì vicina
Avevi le chiavi altrimenti non entravi
La porta fece rumore e poi sulle labbra un tepore
Ma era tutto un sogno immaginato, lo sbattere della porta il mio cuore azzerato
E mi sveglio  di soprassalto in un bagno di sudore, il respiro affannato il ricordo del tuo calore
Ancora ti immagino, il braccio leggermente adagiato, e il tuo sguardo fuori dalla finestra, lontano, ed io stremato.

giovedì 1 dicembre 2016


















Di cosa hai davvero paura

Il colore che non sopporti, l’amore che non ascolti

Eppure lei ti aveva cercato fin dove nessuno ti aveva trovato

Eri persino rimasto stupito, cosa strana per essere il tuo tipo

Uno di quelli che lasciano passare, che guardano, ma non si sanno fermare
Quelli che ti illudono con uno sguardo imbarazzato, e ti fanno pensare che tu sia fidanzato

Ma dopo è facile scoprire che lui se n’è andato, e il sole non c’è mai stato

È un filo rosso impercettibile che attraversa un mondo trasversale, il suo torbido canale
È un mondo in cui affogare che non riesci a decifrare, te che a fatica sai nuotare

Affoghi in mezzo al mare e nessuno ti viene a salvare
Urli imprechi ti dai da fare, ma in quel modo puoi soltanto affondare

Cerca di prendere un respiro, guardalo negli occhi, impara ad urlare
Ora cerca di non pensare, al più mandalo a cagare, ritorna davvero normale

Se ti domandi cosa lo spinge ad essere tale, la risposta la trovi dentro quel canale, rosso di sporcizia lindo di avarizia

Eppure c’avevi visto qualcosa di buono, un piccolo movimento del labbro, una parola sana
Una sera di discorsi pacati e baci assetati, tu che ti lasci guardare nel profondo, nel luogo incantato, un paese quasi dimenticato

Ed è là che lui ci sa fare, che ti continua ad ammaliare, sa come fare a predicare, è la sua religione beffarda, subliminale, iniziale

No non ci dovevi cascare, non ti devi abbandonare, rifiuta il pentimento
Caso mai sarà lui a doversi scusare, sempre che lo possa fare, che rientri nel suo essere immorale

Datti un tempo, cerca di smarcarti, non prender le sue parti non dargliela più vinta

A cosa possa servire non ti è dato sapere, ma tu prova a parlare, a farti capire

Lui non ascolterà non ti vorrà vedere, ma non proverai ad imprecare, quel tempo è passato e non lo devi sprecare

E tu lo odi quello sporco mentitore, o forse lo ami quel subdolo attore, ma non ti lasciare fregare

Attraversa la strada, affronta la macchina che ti vuole atterrare, il tuo corpo è più veloce di qualsiasi animale

Lui non ti ha mai vista in tal modo avanzare, guardarlo agguerrita, scavargli nel cuore

Cercherà di fuggire di non farsi guardare, ha la paura negli occhi, lo potresti ammazzare ma lo salvi in extremis, lo lasci respirare 

Ancora per un momento lo vuoi rimirare, giusto per uno sfizio, giusto un degno finale. Poi d’improvviso, lo lasci cadere.