Il
posto migliore che potesse immaginare
Era
il posto migliore che lui avesse potuto immaginare. Oppure era solo
il riflesso di un pensiero.
Seduto
sulla sedia aveva la migliore vista possibile.
La
migliore vista possibile del miglior posto che avesse potuto
immaginare.
O,
forse, era soltanto il riflesso di un pensiero.
Vedeva
la poltrona marrone, la libreria sulla parete di fondo, la porta
finestra che dava sul terrazzo e lì fuori, bellissima, la pianta
con le foglie gialle e verdi che si stagliava sul muro bianco del
parapetto.
Era
pomeriggio inoltrato, ottobre si sarebbe detto. La casa di fronte
impediva di vedere il cielo; ma non dava fastidio, anzi, chiudeva il
quadro in un modo definitivo.
In
quell’istante, come a rovinare tutto, squillò il campanello. Voltò
leggermente lo sguardo verso la porta, quel tanto che bastava per far
entrare nel suo campo visivo il citofono e, immobile, attese che
smettesse. Finalmente il silenzio tornò. Di nuovo fu tutto
bellissimo, calmo, come sospeso nel tempo; in attesa di qualche altro
evento, probabilmente. E’ si, doveva essere proprio così. Aveva
notato che quel campanello, quel disturbo acustico al momento così
fastidioso, gli aveva fatto apprezzare quella visione molto di più.
Così attese. Attese che qualcosa avvenisse.
Ma
il tempo passava e niente, niente accadeva. I muri bianchi ed i
mobili che vi si appoggiavano delicatamente. L’aria bloccata tutto
intorno alle cose, che sembrava tenerle lì, incapaci di trovare
un’altra posizione. Adesso non sembrava più così bello, bello
come prima. Quell’attesa lo snervava, lo faceva stare male, gli
aveva inculcato un fastidiosissimo senso di aspettativa che aveva
bisogno di essere soddisfatto.
Il
sole intanto aveva deciso di sparire. La notte era arrivata
improvvisa e quindi inaspettata. Le cose si erano ricoperte di un
velo marrone e niente era più chiaro come prima; strade, palazzi,
alberi, tutto insomma.
Guardò
di scatto fuori dalla finestra e tutto era decisamente troppo
marrone. Il palazzo di fronte e gli alberi giù in giardino, gli
infissi e il pavimento del suo appartamento e perfino le sue mani.
Doveva essere una specie di fotografia. La finestra incorniciava
l’immagine che gli si parava davanti e lui si era lasciato
ingannare.
Decise
che avrebbe aspettato l’indomani mattina per valutare la situazione
in maniera obiettiva. Adesso non si sentiva in grado di dare un
giudizio distaccato. La notte, con i suoi pensieri e le sue
suggestioni erano ancora troppo presenti. Troppo influenti.
Ma
quella notte non riuscì a dormire neanche un minuto. Così,
l’indomani mattina, tutto gli apparve come il giorno prima.
Esattamente uguale; i palazzi marroni, il pavimento marrone, gli
alberi e tutto il resto.
Il
pomeriggio stesso si recò dal dottore e gli spiegò la situazione.
“Dottore”
gli disse “ sono molto preoccupato.”
“Mi
dica” Rispose questi.
“Dunque”
e si sistemò sulla sedia appoggiandosi bene allo schienale. “Vedo
tutte le cose marroni, dottore.”
“Si
spieghi meglio” Disse il dottore alzando leggermente le
sopracciglia e subito pentendosene.
“Bene,
mi capita di guardare fuori dalla finestra, o comunque di voltare lo
sguardo verso una qualsiasi direzione e, tutto, mi appare marrone.
Non omogeneo, intendiamoci, varie sfumature di marrone, Come se fosse
un film in bianco e nero … ma su base marrone.”
Il
dottore guardava dritto negli occhi il paziente ma sembrava che non
fosse sua intenzione farlo. Era come se osservasse un punto qualsiasi
nello spazio e casualmente coincidesse con i suoi occhi.
“E’
una condizione permanente, la sua, oppure le capita solo in alcuni
precisi momenti. Adesso per esempio è così?”
Ci
fu un attimo di silenzio. Qualcuno fuori aveva chiuso il cancello e
un clacson aveva suonato nel traffico pomeridiano.
L’uomo
si guardò intorno cercando di concentrarsi su qualcosa di specifico.
Gli cadde lo sguardo sulla bilancia alla sua sinistra. Avrebbe detto
che fosse bianca, di un bianco quasi latte e gli angoli bordati di …
anch’essi di bianco.
“Tutto
bene?” Fece il dottore.
“Si,
si, grazie.” Pensava al bianco che gli sembrava bianco e al marrone
che non si ricordava più come fosse. Com’era il marrone? Non si
ricordava proprio. Diverso dal bianco, sicuramente diverso. Si, ma
come? Cazzo, era così recente quella sensazione nella sua memoria
che non poteva credere di averla già scordata. Si guardò ancora
intorno ma del marrone non c’era traccia. Si girò lentamente e
speranzoso verso la libreria dietro di lui. Era bianca anch’essa,
porca miseria. I libri, uno accanto all’altro, tutti bianchi,
candidi come il latte.
“Forse,
dottore …il mar … cioè il bianco. Si il bianco, ecco, volevo
dire il bianco, dottore. Mi sono sbagliato. E’ il bianco quello che
vedo, è tutto bia … di che colore è la sua libreria dottore? Di
che colore è?”
“E’
marrone.”
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